JANNACCI, IL PAPA, LA CRISI ITALIANA E… LA CAREZZA DI GESU’

L’Europa sembra senza bussola e l’Italia una maionese impazzita, come si è visto in questa settimana della passione di Cristo, che è stata anche un tormento civile per la nostra gente.

Nonostante la saggezza del Capo dello Stato, purtroppo è sempre una “serva Italia…/ nave senza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello!”.

Nessuno infatti sa alzare lo sguardo al di sopra delle proprie ambizioni, dei propri interessi di bottega, delle rivalse o delle più assurde pretese. Mentre il Paese è sull’orlo nel baratro.

 

SBERLE E CAREZZE

 

Verrebbe da invocare Qualcuno che prendesse a sberle tutti. Ma non un padrone (Dio ci scampi), piuttosto un padre, un salvatore vero.

Verrebbe da dirlo proprio con le stesse parole che usò un artista singolare, Enzo Jannacci, qualche tempo fa, in una memorabile intervista.

Il cantante – che nella vita era anche un medico – disse:

“In questi ultimi anni la figura del Cristo è diventata per me fondamentale: è il pensiero della sua fine in croce a rendermi impossibile anche solo l’idea di aiutare qualcuno a morire. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza”.

Ecco. Anche quando tutti noi meriteremmo di essere presi a sberle (perché tutti facciamo i nostri grossi errori) il nostro cuore, nel profondo, desidera un abbraccio che perdona e resuscita, cerca la carezza del Nazareno, perché sa che questa – come hanno ripetuto Benedetto XVI e papa Francesco – è la giustizia di Dio: la sua stessa Croce.

Paga Lui. Per tutti. Si prende Lui tutte le sberle (e non solo…).

E davanti a ciascuno di noi, anche il più peccatore, colpevole e cattivo, è venuto a inginocchiarsi, a lavargli i piedi (come a quel tempo facevano gli schiavi) e addirittura a baciargli i piedi. Anche a Giuda ha lavato e baciato i piedi.

Questo è quel Gesù che commuoveva Jannacci e stupisce noi.

Perché vuole salvare tutti, proprio tutti. Vuole tutti redenti e felici. Vuole perdonare tutto, come ha ricordato nel primo Angelus il nuovo pontefice.

 

SENTIRSI AMATI

 

Per un singolare caso (ma il Caso – com’è noto – è il vestito che Dio indossa quando vuole restare in incognito) Jannacci – da tanto tempo malato – è morto, è andato in Cielo, proprio l’altroieri, lo stesso venerdì santo in cui si fa memoria della crocifissione e morte di Gesù.

E – sempre per lo stesso Caso – è morto proprio all’indomani di un evento che ha colpito tanta gente, durante il quale papa Francesco ha inconsapevolmente risposto al desidero di Jannacci addirittura con le sue stesse parole.

Com’è noto il papa ha voluto celebrare il giovedì santo in un carcere minorile di Roma. Lì, facendo memoria del gesto di Gesù verso gli apostoli, ha lavato e baciato i piedi a dodici, fra ragazzi e ragazze, che sono reclusi per vari reati.

Giovani con grossi problemi che hanno fatto già i loro errori. E’ quell’umanità ferita che Jannacci aveva cantato.

A quei ragazzi stupiti e commossi papa Francesco, guardandoli con tenerezza, ha voluto far sapere che Gesù ama follemente ciascuno di loro e, per spiegare quel rito, ha testualmente pronunciato queste parole:

“pensate che questo segno è una carezza di Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo, per servire, per aiutarci”.

Una carezza del Nazareno… Lo stato d’animo di quei giovani, destinatari di una tale predilezione, è stato espresso da uno dei dodici, un diciassettenne croato, che vedendo l’anziano Vicario di Cristo che si inginocchiava con fatica davanti a lui per lavargli e baciargli i piedi, ha pianto e poi ha detto: “Per la prima volta mi sono sentito amato, la mia fede debole si è rafforzata”.

 

STRANI GIORNI

 

In questi giorni si è prodotta una singolare situazione per noi italiani che abbiamo assistito, in contemporanea, a due storie così diverse: da una parte quella intricata e avvilente della politica, che fa temere per il nostro futuro in un’Europa dissennata; dall’altra parte i gesti luminosi, i segni, le parole del nuovo papa (e del papa emerito) nei giorni della quaresima e della settimana di Passione che porta finalmente alla Pasqua.

In teoria si direbbe che le due storie non c’entrano niente l’una con l’altra. Invece nella realtà tutti abbiamo percepito che c’entrano eccome.

La risonanza che ha avuto nel cuore e nella mente di tutti quella parola ripetuta dal Santo Padre, “misericordia”, lo dimostra. Misericordia significa anche superare odi reciproci, fazioni, vendette, rivalse, vuol dire ricominciare.

E poi il continuo richiamo al “servire” soprattutto rivolto a chi ha responsabilità pubbliche.

Con le parole e con i gesti il Papa e la Chiesa, in questi giorni, hanno parlato al cuore della nostra gente.

E, oltre a toccare le corde profonde della vita personale, oltre a medicare tante ferite che ciascuno si porta dentro, ci hanno fatto intuire come sarebbe grande e fonte di benessere per tutti ritrovarsi e riconoscersi finalmente come popolo e bandire gli odi e costruire il futuro comune.

E’ stato addirittura il presidente della Repubblica a cogliere e sottolineare l’intreccio suggestivo fra le tenebre della nostra vita civile e la luce della nostra storia cristiana.

Pur da laico Napolitano ha firmato un messaggio di auguri al Papa per nulla formale dove ha testualmente detto:

“Le festività pasquali ricorrono quest’anno in un momento particolarmente impegnativo per l’Italia… Esse ci invitano a dare ascolto al condiviso anelito di pace, di giustizia e di solidarietà e a trovare la forza e coesione necessarie per raccogliere il messaggio cristiano e universale di rinascita e di speranza che questa fausta ricorrenza porta con sé e diffonde al mondo”.  

Tutt’altro che parole di circostanza. A Pasqua perfino la morte è stata sconfitta. Significa che rinascere è possibile, come abbiamo già fatto in tante circostanze, per esempio dopo la devastante guerra mondiale.

Ma bisogna prendere come bussola le parole che papa Francesco ci ripete, a cominciare da quelle che ha detto ai giovani del carcere minorile di Casal del Marmo: “dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri… Non lasciamoci rubare la speranza”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 31 marzo 2013

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